Recentemente, durante la nostra ultima visita a Budapest, tra i vari obbiettivi del percorso abbiamo inserito anche la visita al Museo di Terror Haza, una tappa che non avremo mai potuto saltare. Camminando tra le varie sale, è impossibile non restare toccati da quei tempi.
Il 19 Marzo 1944 l’Ungheria perse l’indipendenza e venne invasa dai Nazisti. L’edificio che oggi ospita il museo della “CASA DEL TERRORE” a quel punto diventò il Quartier Generale della GESTAPO, ovvero la polizia segreta tedesca, conosciuta particolarmente per la sua crudeltà. Li venivano portate le persone catturate per sospetto o colte in flagranza contro il regime nazista.
All’interno venivano svolti gli interrogatori, atroci torture e alla fine anche le esecuzioni. Spesso, a causa della particolare crudeltà usata durante le torture, il momento dell’esecuzione era quasi un sollievo. Mi ha colpito molto, infatti, l’espressione quasi sollevata di un uomo mentre veniva accompagnato nella stanza dell’esecuzione in un documentario proiettato in una delle stanze del museo. Ad un certo punto i nazisti passarono il comando al partito nazista ungherese, Arrow cross, che continuò con la stessa politica.
Alla fine della seconda guerra mondiale i nazisti furono costretti ad abbandonare l’Ungheria, che in seguito venne occupata dal regime sovietico, le cui intenzioni in apparenza erano positive, ma in realtà era un’altra dittatura totalitaria, come lo è stata quella tedesca, quindi per gli ungheresi era soltanto un’altra faccia della stessa medaglia. Questo cambio di regimi è rappresentato nella stanza del cambio d’abito: da un lato l’uniforme nazista e dall’altro l’uniforme sovietica, poste sullo stesso manichino.
Infatti, i sovietici, una volta entrati in Ungheria, catturarono diverse migliaia di persone, potenzialmente pericolose per il nuovo regime, tra cui EX POLITICI, DIPENDENTI PUBBLICI, PRETI ed INSEGNANTI; insomma tutti coloro che potevano influenzare l’opinione delle persone. Oltre a loro, tutte le persone tornate dai campi di concentramento nazisti, le persone particolarmente ricche alle quali venivano tolti tutti i beni e i migliaia di giovani, di cui molti non avevano nemmeno vent’anni, vennero a quel punto portati nei GULAG, ovvero cosiddetti CAMPI CORRETTIVI di LAVORI FORZATI del regime sovietico, i quali a tutti gli effetti erano dei nuovi campi di concentramento dell’unione sovietica.
Durante gli anni del regime nei Gulag morirono decine di milioni di persone. Dei 600.000 ungheresi circa 300.000 non fecero ritorno a casa.
In quel periodo l’edificio passò nelle mani della Polizia segreta sovietica, il KGB. Il loro operato non fù migliore di quello tedesco; i loro metodi erano praticamente identici a quelli della Gestapo. Catturavano le persone anche dietro un lieve sospetto o un’accusa di sovversione, avanzata a volte anche da qualche vendicativo vicino di casa o collega di lavoro. Le portavano nel palazzo dove venivano interrogati e processati per direttissima. Veniva pronunciata l’accusa, priva di effettive prove del reato e in assenza di un difensore. Subito dopo veniva pronunciata la sentenza e la condanna o agli anni di reclusione nei Gulag, o a morte.
L’esecuzione avveniva per impiccagione con una procedura rapida. Il condannato veniva svegliato di mattina presto e portato nella stanza delle esecuzioni dove veniva di nuovo letta la sentenza. Poi veniva legato, lo si faceva salire sullo sgabello, gli passavano la corda sotto al collo e quando ufficiale pronunciava la parola “Hopp” l’esecutore toglieva lo sgabello con un calcio ed il condannato rimaneva appeso sulla corda. Si attendeva che smettesse di respirare e a quel punto il medico doveva accertare con un stetoscopio l’avvenuta morte.
Oltre ai malcapitati accusati di tradimento, nel sotterraneo del palazzo vennero giustiziati anche moltissimi ricchi cittadini ungheresi di origine tedesca, ai quali sono stati tolti tutti i beni e le ricchezze, ed anche i stessi poliziotti e dipendenti del palazzo per i disaccordi sulla spartizione dei stessi beni. I beni e gli oggetti di maggior valore venivano spartiti tra gli stessi aguzzini, mentre il resto diventava la proprietà dello stato. Un esempio di questo è Gábor Péter, il capo della polizia segreta ungherese, responsabile di molte crudeltà, per poi essere accusato di essere una spia dai propri colleghi e condannato ad ergastolo.